Nella regione autonoma del Kurdistan, dopo il blocco del Parlamento e il continuo rinvio delle elezioni per il suo rinnovo, ci si augurava che le elezioni potessero rilegittimare le istituzioni curde e affidare al Parlamento – con un accordo politico tra partiti alla luce del sole – la soluzione della crisi istituzionale e sociale. Avevamo già anticipato che il percorso per le elezioni era stato particolarmente accidentato e solo poche settimane prima la scadenza fissata per il voto (30 settembre 2018) tutti i partiti avevano deciso di prendere parte alla campagna elettorale: non era stato certamente un buon segnale.
Le elezioni sono state, purtroppo, contestatissime e i risultati ufficiali sono stati pubblicati con molto ritardo, dopo numerose verifiche dei brogli denunciati dall’opposizione (in particolare Gorran e Nuova generazione). Non si è espressa solo la Commissione elettorale (la cui indipendenza è stata messa in discussione) ma la stessa magistratura. C’è da dire che le denunce di brogli e di irregolarità nel voto sono ormai un classico (ci sono state nel settembre 2017 per il referendum e la scorsa primavera per le elezioni al Parlamento iracheno) e, tuttavia, non si può non segnalare come le opposizioni non riescano ancora a definire un blocco coerente che sfidi il duopolio del Partito democratico del Kurdistan (PDK) e dell’Unione patriottica del Kurdistan (UPK). Proprio la frammentazione delle opposizioni continua evidentemente a rafforzare l’egemonia dei partiti storici.
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